“Come se fosse ieri”: Irene Vanni e i Duran Duran

Chi non conosce i Duran Duran? Oggi vedendo i video musicali che li hanno resi famosi nei mitici anni Ottanta e di cui sono precursori, sì perché nessuno prima di loro aveva capito quanto potessero essere un potente strumento di marketing, i cari vecchi video musicali, be’ vedendoli oggi si viene catapultati direttamente in quell’epoca d’oro, mascara e pailettes. Simbolo generazionale, ma anche successivamente simbolo di rinascita perché in tanti i Duran Duran li davano per spacciati, mentre hanno saputo risalire la china, rifarsi un look e mantenere la propria credibilità.

Perché vi sto parlando proprio dei Duran Duran? Perché il loro concerto è sfondo di una storia di amicizia che travalica il trascorrere del tempo. Quattro ragazze che nel 1987, a soli quindici anni, scappano di casa per andare a un loro concerto si ritrovano quarantenni demotivate e costrette a fare un bilancio dei fallimenti della propria vita. E decidono di darsi una seconda possibilità. Come? Tramite un viaggio che le porterà a un nuovo concerto della band di Birmingham. Tutto questo in “Come se fosse ieri” (Fabbri editore) della camaleontica Irene Vanni.

Come nasce Come se fosse ieri?
In venti giorni, per la miseria! La mia sfiga editoriale è composta da una lunga catena di incredibili sventure e peripezie che farebbero impallidire persino il Conte di Montecristo, così quando sono entrata in contatto con Rcs mi sono detta: “Questo treno non lo perdo manco morta!” Era la metà di luglio, già sapevo di non poter andare al Lucca Summer Festival a vedere i Duran Duran e l’idea mi girava per la testa da alcune settimane. Non l’avevo ancora scalettata perché per infilarla nel mio affollato cassetto di inediti avevo tutto il tempo che volevo. Finché in Fabbri non mi hanno dato carta bianca. Allora è diventato tutto un altro paio di maniche… da rimboccare! Loro avevano valutato dei miei lavori brevi, non mi andava di riesumare materiale vecchio dall’affollato cassetto, ed era il momento giusto per elaborare quanto avevo in mente. Quando, dopo ferragosto, mi hanno chiamata per chiedermi se mi ero fatta venire qualche idea, ho detto loro che, se volevano, potevano leggerlo. L’ho inviato senza nemmeno revisionarlo. Per me, che sono abituata a limare per mesi ogni virgola, è stato traumatico, ma ormai avevo fatto mio il motto delle protagoniste (nonché singolo trainante dell’ultimo album dei DD): All you need is now! Poi vada come vada… ed è andata.

I Duran Duran sono simbolo di una generazione. Cosa rappresentano per te?
Lo hai detto: sono il simbolo di una generazione, e di conseguenza lo sfondo (e il sottofondo) dell’età più spensierata per chi è stato adolescente negli anni ’80. Ma i tempi cambiano così come le persone, e tutto quanto allora sembrava frivolo e sereno, alla luce della crisi odierna, acquista un significato diverso, dolce e amaro al tempo stesso, tanto più che mettiamo a confronto il periodo più ricco e quello più povero della nostra storia. I Duran Duran hanno riempito questo periodo anche nella mia vita, e tutt’oggi li seguo. Mi sono sembrati ancora lo sfondo (e sottofondo) ideale di una storia di formazione generazionale che andava ad analizzare questi cambiamenti presunti o solo apparenti.

Sei appassionata di horror e hai vinto concorsi letterari legati a questo genere. Ora hai scelto di scrivere un romanzo generazionale con attenzione all’universo femminile. La storia era già dentro di te? Hai riscontrato più difficoltà nell’avvicinarti a questo genere?
No, tutto il contrario. Abituata a ‘gavettare’ per selezioni editoriali, forum, laboratori di scrittura e giornali di genere, una volta che mi è stato concesso di andare a briglia sciolta mi sono sentita liberata ed è uscito tutto in maniera più fluida. I concorsi e le selezioni si addensano sempre intorno a un genere o a un tema, una caratterizzazione o una traccia. Questo esercita a sviluppare le idee e valutarle con molta autocritica prima di decidere se valgono la pena di essere lette o se sono trite e fra le altre proposte non emergerebbero. Giustappunto perché il genere vede il suo punto di forza nell’idea. Il mainstream si basa sul presupposto contrario: l’idea è spesso e volentieri elementare, una storia comune fatta di personaggi in cui tutti possono immedesimarsi, e lo sforzo risiede nello sviluppo e nella caratterizzazione dei personaggi da formare. L’uno è uno sforzo più creativo, l’altro più tecnico (fermo restando che ogni lato sarebbe necessario in ambedue). Nel momento in cui ho potuto scrivere quello che volevo (ed era da tempo che ci speravo), mi sono poi divertita a unire i due aspetti: un romanzo maistream di formazione che non fosse necessariamente un mattone intellettualistico, ma una storia d’evasione come quelle di genere, con un linguaggio accessibile a tutti, qualche particolare ‘esotico’ disseminato qua e là (pur restando nel verosimile) e un approccio fra il serio e il leggero, il malinconico e il comico.

Le tue protagoniste sono quarantenni per certi versi insoddisfatte ma che ancora hanno voglia di sognare, ricominciare. Le senti vicine? C’è qualcosa di te seminato tra i personaggi oltre la passione di Laura per il rock?
I personaggi sono tutti di pura invenzione, dunque c’è qualcosa di mio in tutti loro, e nessuno di loro è me. Ho solo cercato di dare voce a diversi profili di donna, in modo che un po’ tutte possano riconoscersi in una o più di loro. Particolari o aneddoti presenti nella storia possono dunque appartenere a me come a qualsiasi altra donna. C’è di tutto, dalla situazione (non) lavorativa nell’Italia attuale ai problemi di salute (ossessioni, fobie, vizi o dipendenze che siano), dai rapporti con i figli (se ci sono o non ci sono) o i genitori (la generazione ancora più indietro) a quelli con il sesso opposto. Chi non ha avuto almeno un’amica come Simona, per esempio, che è stata a lungo con un uomo già sposato e a cui viene detto in continuazione: “Ma lascia perdere! Se avesse voluto lasciarla lo avrebbe già fatto da quel di’…” Mi sono documentata come si fa con un romanzo storico o uno di fantascienza. Cos’è in queste situazioni che fa cadere le braccia? Discorsi fra donne, statistiche, per caratterizzazioni più ‘vere’, anche se immaginarie. Be’, la risposta, nella stragrande maggioranza dei casi, stai pur certa che è quella che ho inserito nel romanzo.

Vuoi svelarci i tuoi progetti futuri?
Con Fabbri sono già stati stipulati accordi per un altro libro, ma al momento siamo concentrati sulla promozione di questo, quindi è ancora presto per parlarne. Siamo in trattative anche per diverse ‘ospitate’a festival e manifestazioni estive varie, e spero di poterne ufficializzare a breve qualcuna.

E per finire: la tua canzone preferita dei Duran Duran? E tu sei mai stata a un loro concerto?
Certo! I deliri descritti nel libro in merito al tour di “Notorious” dell’87, per esempio, li ho sperimentati di persona. Però è difficile scegliere un’unica canzone. Oggettivamente, da critica musicale, riconosco che il pezzo migliore è “Ordinary World”; sono molto affezionata a brani del passato quali “The Chauffeur”, “Union of the Snake” o “Vertigo”, però la canzone che nell’ultimo anno ha ruotato di più nelle mie orecchie è stata proprio “All you need is now!” Non solo per l’augurio che la band di oggi lancia ai fan nel presente, non solo per lo stesso messaggio che ho cercato di trasmettere attraverso il libro a una generazione di donne al macero che deve ricominciare a credere in se stessa, ma anche per una semplice questione musicale, e ancora generazionale: rimanere fedeli al proprio stile passato, senza però lasciarsi scappare l’attimo che fugge nel presente, adattandosi ai tempi che cambiano.

 

The making of Aurora – Sleeping beauty

«Come nascono le idee? Con questo volume vengono aperte le porte dell’officina di due professionisti, Barbara Baraldi e Lucio Parrillo. L’una della narrativa, l’altro dell’illustrazione, per scoprire come nasce un volume come Aurora – Sleeping Beauty. Tra i contenuti speciali ed esclusivi: sketch e bozzetti, studi dei personaggi, stralci del soggetto dettagliato, la prefazione di Barbara Baraldi e alcune tavole illustrate da Lucio Parrillo»

Le fiabe da sempre nutrono la mia fantasia con le loro atmosfere gotiche e a volte orrorifiche. Negli anni sono diventata una collezionista di fiabe, da quelle dei fratelli Grimm e di Perrault a quelle dell’est, ma anche fiabe orientali dove gli uomini incontrano spiriti erranti e creature antropomorfe e fiabe del nord Europa, leggende tzigane e provenienti dalla fiandra.

Nelle fiabe ci sono sempre strade da non lasciare perché il bosco può essere pericoloso, porte da non aprire perché custodiscono segreti sepolti con il sangue, ma i protagonisti spesso infrangono i dettami della ragione per spingersi oltre il limite della conoscenza e a volte il prezzo da pagare è molto alto.

Vi svelo un segreto: La bella addormentata nel bosco è una delle mie fiabe preferite, simbolo dell’entrata nell’età adulta di una ragazza e che nella versione disneyana offre una delle sue streghe più affascinanti dell’immaginario collettivo: Malefica. Da sempre mi chiedevo cosa sognasse Rosaspina nei cento anni di lungo sonno e anch’io sognavo a occhi aperti. Sognavo di scrivere un mio omaggio a questa fiaba, ma in cui la protagonista, anziché attendere un principe azzurro, fosse disposta a combattere per quello in cui crede, a combattere per il suo amore. E proprio come in una fiaba, un giorno la mia strada ha incrociato quella di un artista che quando dipinge è in grado di donare sangue e vita alle sue creature, che siano eroine sensuali o mostri terrificanti. Si tratta di Lucio Parrillo, il cui lavoro sulle copertine dei comics della Marvel e di altri editori americani è celebrato in tutti gli angoli del pianeta. Davanti a un caffè amaro sono nate le prime scene del nostro Aurora – Sleeping beauty.

Con grande piacere vi annuncio che questo progetto sta prendendo vita e a maggio, in occasione del Florence Fantastic Festival (10-12 maggio, Firenze, Fortezza da Basso), io e Lucio presenteremo in anteprima il volume The making of Aurora, Sleeping beauty (Pavesio editore).

Di cosa si tratta e perché è un volume da non perdere? Perché permette di entrare nella cabina di regia di un progetto nello stesso istante in cui sta prendendo vita. Perché svela i segreti dietro la genesi di un’idea, con stralci del soggetto originale e i miei appunti per il disegnatore. Ci sono bozzetti e studi dei personaggi, tavole a colori e foto tratte dai momenti della lavorazione. Naturalmente non mancano i primi capitoli del romanzo Aurora – Sleeping beauty e una mia lunga riflessione su fiaba, fumetto, romanzo e i suoi punti d’approdo nella vira reale.

Il volume è in serie limitata ed è destinato a diventare introvabile con l’uscita di Aurora – Sleeping beauty. Un’occasione unica, insomma, per entrare nella nostra officina di lavoro.

La quarta di copertina: «Aurora – Sleeping Beauty racconta, tramite le parole incantatrici di Barbara Baraldi e le stupende illustrazioni di Lucio Parrillo, la storia di una principessa guerriera che non è disposta a rinunciare ai suoi sogni, che combatte contro creature spaventose per riavere il suo amore, degli occhi di un indovino che si nutre delle anime dei viandanti, di porte oltre le quali si nascondono verità scomode, di castelli in grado di spostarsi come le dune del deserto sotto i venti dell’Est, di regni dimenticati popolati di antiche divinità.»

 

Il metodo crudele, intervista ad Alessandro Berselli

Un libro, due prefazioni. Vi sembra strano? Non avete letto il resto.
Perché Il metodo crudele è il libro più folle che ho letto nell’ultimo periodo. E io colleziono libri folli. Il linguaggio è quello delle mail, tutte dirette al professor Sigmund Crudele, che non manca di rispondere creando conversazioni che trasudano sense of humor, cinismo con una punta di surrealismo. Ma chi è codesto figuro?
Meglio chiederlo direttamente all’autore.
Vi è mai capitato, navigando su internet, di imbattervi in quei siti dove i medici rispondono a preoccupati pazienti su come abbassare il colesterolo o curare il fuoco di Sant’Antonio? In questo caso i pazienti sono schizofrenici, maniaci sessuali e fidanzate gelose e le risposte di un umorismo corrosivo, da gelare il sangue.
Oggi ospitiamo su Scritture barbariche Il cattivo, Alessandro Berselli per una sorprendente intervista in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo Il metodo crudele (Pendragon) che avverrà domani, 11 aprile.

Che cos’è il Metodo Crudele? E come nasce?
Chi scrive dovrebbe essere disciplinato. Fare le cose che la gente si aspetta, dare continuità al proprio “agire artistico”. Poi però a un certo punto ti chiedi: ma davvero ho voglia di rispettare le regole? Non sono noiosi i precetti? Non è più divertente l’anarchia, seguire l’istinto, le pruderie del momento? “Il metodo Crudele” è un atto di ribellione contro me stesso, la rivendicazione della mia dark side cialtrona contro la bright side ufficiale. Un libro che parte da due presupposti e una domanda. Ovvero. Gli uomini pensano solo a quello. Le donne la danno via facile. Allora qual è il problema? Sessantanove (il numero non è casuale) disquisizioni sul sesso e zone limitrofe. Becero, irriverente, scorretto

Per te rappresenta una sorta di ritorno alle origini, vuoi parlarcene?
Lo so. Sono un essere disturbato. Lo sono sempre stato, già dai tempi di “Comix”, del “Costanzo show”, di “Giuda”. Poi sono arrivate le scritture nere e ho incanalato la mia visione grottesca delle cose relative all’umano agire in storie morbose, claustrofobiche, malate. Ma la voglia di ironia, di sarcasmo c’è sempre stata. Recuperarla non è stato faticoso. Volevo tornare a scrivere qualcosa di deliziosamente ignorante che riprendesse anche il mood della mia bacheca facebook. L’obiettivo era divertire e creare una sorta di BIBBIA per la folle umanità che la popola

Chi è Sigmud Crudele?
Un guru al contrario, la negazione del concetto di punto di riferimento. La gente si rivolge a lui per condividere e risolvere follie e in tutta risposta che cosa ottiene? Altra follia, altre domande. Nonsense, insulti, discese negli abissi del più raccapricciante disgusto. Non mi sono voluto fare mancare niente. Pazienti e dottore si confrontano in una disputa dove tutti perdono. Lettore compreso.

Sei molto attivo su internet, quanto c’è della realtà nel folle universo che ruota attorno all’ambulatorio virtuale di Crudele?
Facebook è un rischio e una opportunità. Un posto dove ogni giorno ti metti in discussione, scegliendo in quale modo vuoi porti nei confronti degli amici e dei lettori. Io credo i social network abbiano una funzione di servizio, dare informazioni su chi sei e cosa fai, soprattutto per quello che concerne la tua attività pubblica, ma anche rappresentare una sorta di sala giochi, un posto dove ridere, dialogare, scherzare, ragionare. La pazzia impera nella mia bacheca, e io ne sono solo in parte l’artefice. Dare dignità a questo brainstorming di menti deviate mi sembrava doveroso. Ed ecco “Il metodo Crudele”

Cattivo con Perdisa e ora il prof.Crudele. Critiche sociali neanche tanto velate per uno scrittore arrabbiato?
Non è mia intenzione fare sociologia con le cose che scrivo. Osservo la realtà e ne parlo, ma sono più interessato alle piccole storie che alle analisi delle masse. CATTIVO parla di un adolescente che è contro tutto quello che è ordine costituito. Non è un affresco di una generazione, è una storia privata, il racconto di un ragazzo colto nella sua individualità, non vuole riassumere il mio sguardo di adulto nei confronti dei giovani. Così come NON FARE LA COSA GIUSTA non è la fotografia del fallimento dei quarantenni, ma la caduta di “un” quarantenne, analizzato nella sua specificità. IL METODO CRUDELE irride quello che nei libri precedenti diventava motivo di narrazione sofferente. Due lati diversi dello stesso scrittore. Tutto qua

So che qualcosa di importante bolle in pentola. Vuoi parlarci dei tuoi progetti futuri?
Un romanzo che uscirà nella collana Open di Piemme nel 2014, ironico, grottesco, lontano sia dalla trilogia del male (Io non sono come voi, Cattivo, Non fare la cosa giusta) sia dal METODO. Ancora una volta ho preferito scrivere quello che avevo voglia di scrivere. Forse un giorno mi pentirò di non avere dato ordine alla mia vena, ma se devo essere scrittore posso esserlo solo così. Facendo quello che mi diverte fare.

Per saperne di più il sito ufficiale di Alessandro Berselli è http://www.alessandroberselli.it/

 

Quando il genere diventa culto: “tutte dentro” e “nero criminale”

Che cosa rientra nella cosiddetta narrativa o filmografia di “genere“? E ancora, che cos’è il “genere“, da tanti considerato di serie B e per registi come Tarantino inseguito e osannato?
Be’ la risposta a questa domanda è quantomeno personale, e per una risposta generica basta dare un’occhiata su wikipedia. Per me il genere è linfa vitale, spirito ribelle, genialità. Come ho voluto sottolineare più di una volta, sono fermamente convinta che esistano semplicemente buoni libri e brutti libri, belle storie e storie trascurabili, indipendentemente dal genere con cui vengono identificate.

Dopo questa necessaria premessa, è con grande piacere che do il benvenuto a un autore che ha fatto del genere la sua bandiera e che rimane uno dei portavoce più rappresentativi della spy story e del thriller nostrano grazie al suo fortunato personaggio, Chance Renard, il Professionista, che calca le pagine di Segretissimo da ormai dodici anni, con più di venti romanzi all’attivo, oltre a racconti e graphic novel: Stefano Di Marino. Ma Stefano è anche un appassionato ed esperto di cinema e, insieme a Corrado Artale che mangia film a colazione, hanno scritto un saggio, Tutte dentro, sul cinema della segregazione femminile, il cosiddetto cinema di exploitation . Chi potrebbe essere l’editore di questa chicca se non Bloodbuster? Come, non sapete di cosa sto parlando? Dello storico e famigerato B-movie store milanese di via Castaldi! Quel luogo bizzarro dove (cit,) gli assassini guantati di Dario Argento convivono felicemente con Lino Banfi e Alvaro Vitali, i poliziotti delle città violente anni 70 imperversano, le grida di Godzilla e le revolverate di Sartana riecheggiano furiose tra città popolate da zombi assetati di sangue mentre Bruce Lee sfida le tettone di Russ Meyer!

Parlare di Tutte dentro è doveroso, soprattutto a un giorno di distanza dalla morte del grande e da molti sottovalutato regista spagnolo Jesus Franco. Tanto prolifico quanto controverso, amava definirsi lui stesso un outsider. Rimasi ammirata quando vidi il suo Vampyros LesbosShe killed in ecstasy, entrambi con una meravigliosa Soledad Miranda, prematuramente scomparsa a soli 27 anni.

Iniziamo questa chiacchierata con il dare la parola a Stefano Di Marino. Nero criminale – I segreti di una città corrotta (Edizioni della sera) e Tutte dentro (Bloodbuster), due volumi freschi di stampa che esprimono due delle tue passioni: la letteratura hard boiled-thriller, secondo la definizione che Altieri ha creato per il tuo Nero Criminale, e il cinema di genere. Vuoi parlarcene?

SDM: Fa tutto parte della mia formazione, della mia passione, se vuoi, per la narrativa popolare che è finalizzata al divertimento, non vuole (di principio) insegnare nulla o prendere posizioni politiche e deve essere fruibile in termini di linguaggi e di costi per il maggior numero di persone. Io ho abbracciato da lungo tempo il Pulp proprio perché mi ci riconosco pienamente. L’hard boiled, nella sua versione più nera o quella più avventurosa, hanno riempito i sogni di quando ero ragazzo e così anche il cinema di genere, quello che veniva snobbato nei cineclub ma che, anche nelle pellicole più indifendibili, qualche spunto, qualche idea te la dava. Io studio continuamente queste cose, per lavoro. Per passione.

Da dove nasce l’ispirazione per Nero criminale? E come é stato ambientare un’avventura del Professionista ancora una volta nella tua città?
SDM: Nella collana Segretissimo le storie che riscuotono maggior successo sono, come è logico, quelle di spionaggio avventuroso, esotico. Però dei vari volumi dedicati a Gangland, che poi è Milano come la vivo e la vedo io, ho ricevuto ottimi pareri da parte dei lettori e, periodicamente, mi chiedono di raccontare storie nere della mia città. Così quando Enzo ‘Body Cold’ Carcello mi ha chiesto una storia nera per la collana che cura per EDS, ho deciso di tornare in campo. Un po’ anche per prendermi una soddisfazione personale nei confronti di quanti (troppi) scrivono storie nere milanesi un po’ troppo cliché, rassicuranti, venate di sfumature politiche. Nero criminale è una storia nera dura e pura. È basata su alcuni fatti avvenuti non solo a Milano ma in varie parti d’Italia e il ritratto criminale che ne esce è realistico… forse solo un po’ accentuato perché è una fiction. Ma i locali, i personaggi, i luoghi sono veri. Come sono vere le persone che popolano questa storia, basta cercare un po’ e scoprire quello che ho mascherato… è una storia piuttosto crudele, un po’ controcorrente, decisamente ‘politicamente scorretta’ ma anche il Professionista lo è.

Il cinema della segregazione femminile: registi che osavano, icone ed exploitation. dove possiamo ritrovare queste atmosfere oggi?
SDM: Eh, ahimè quel cinema è finito dagli anni 80. Proprio in questi giorni è scomparso Jesùs Franco che ne è stato uno dei grandi protagonisti, a volte con opere di qualità altre con lavori più… alimentari. Il sottotitolo ‘ cinema della segregazione femminile’ può essere ingannevole. In verità soprattutto nel Women in Prison e nel Conventuale emergono figure femminili fortissime. Alcune esagerate come Dyanne Thorne e Pam Grier altre come Flavia la monaca musulmana sono esempi (sfortunati) di femminismo ante litteram.
Chissà se i conventi erano costruiti per tenere le donne dentro o gli uomini fuori? Poi, vabbè, certo c’è il piacere di rivedere la Bouchet, la Muti con il velo (anche senza…), Rosalba Neri con le autoreggenti sotto il camice da carcerata ma, se ci guardiamo bene, i ruoli meschini sono riservati agli uomini. Insomma il giudizio sul genere è sempre in bilico.

Tutti parlano di crisi, ma nessuno cerca una soluzione. Vorrei conoscere il tuo parere da professionista indiscusso in questo campo: come far rialzare il piedi cinema e letteratura in Italia?
SDM: Io posso parlare di editoria perché il cinema mi pare oltre l’orlo del recuperabile da più di vent’anni e non è il mio campo specifico. Per l’editoria sarebbe il momento di proporre… proprio il Pulp, a basso costo, popolare ma non sciatto. Purtroppo c’è una gran massa di autori velleitari che riescono a farsi pubblicare da una casa editrice minuscola una volta e già si pavoneggiano come ‘SCRITTORI’. E intervengono, partecipano a dibattiti, sgomitano e quel che è peggio si avvolgono in bandieroni politici e crociate di cui, alla fine non importa loro veramente nulla. Vogliono la fama, il nome in copertina. Invece è la passione per il racconto che conta, la voglia di comunicare emozioni. Di questa gente andrebbe fatta una bella sfoltita. E magari se ai vertici editoriali si pensasse a trovare opere originali e a investire su idee nuove piuttosto che scopiazzare i successi del momento proponendo cloni su cloni dello stesso prodotto, magari il pubblico si allagherebbe un po’.

E per chiudere l’intervista ci consigli un libro e un film?
SDM: Se volete spaventarvi davvero andate a vedere Sinister che non è un film perfetto ma di sicuro è uno degli horror più riusciti degli ultimi tempi. Come libro vi consiglio di ripescare negli scaffali. L’ultimo che ho letto si intitola The Night of Thunder di Stephen Hunter, autore con grande conoscenza cinematografica mal proposto in passato qui in Italia ma che sicuramente ha moltissimo da insegnare.

E ora, diamo spazio a Corrado, che nel frattempo stava guardando una pellicola splatter in attesa del suo intervento. Avete scelto di parlare di un tipo di cinema molto particolare, il cosiddetto “femmine in gabbia”, perché? Cosa ti ha attirato del genere e come ti sei preparato a questa prova?
Corrado: Il progetto nasce da un’idea di Stefano cui ho aderito con entusiasmo perché discutere di un certo tipo di cinema, oltraggioso e politicamente scorretto quanto si vuole ma parte essenziale di quel che era l’exploitation in celluloide anni 70, è sempre una sfida divertente. Ti domandi: che tipo di pubblico li andava a vedere, quei film? L’impatto che potrebbero avere sugli spettatori odierni sarebbe il medesimo? Chi leggerà il nostro libro e magari si accosterà a certi titoli ne sarà incuriosito, turbato, offeso, affascinato?

Ovviamente nell’affrontare determinate tematiche mi sono sforzato di mantenere un atteggiamento obiettivo: impostare una difesa di questo filone dai detrattori non avrebbe senso, son film indifendibili e di estremo cattivo gusto ma spassosi e a mio avviso degni di riscoperta proprio per il coraggio e l’assoluto sprezzo di ciò che è convenzionale o giudicato accettabile dai benpensanti. Ho cercato di fare una cernita, sforzandomi di separare il buono dal meno buono in base agli elementi che caratterizzano il nazi-erotico e potrebbero venire incontro ai gusti di chi ama questo tipo di intrattenimento. Assurdo cercare valori estetici tradizionali in robe tipo SS Lager 5 – l’inferno delle donne di Sergio Garrone, devi chiederti piuttosto: cosa attira il pubblico in queste pellicole? Nell’ambito del genere, quanto verrebbe gradito? E, naturalmente, la regola aurea rimane quella di non prenderli sul serio e tralasciare paletti etici di sorta. Chi li realizzava non si preoccupava di quanto eventualmente sgradevoli potessero risultare, anzi più erano trucidi meglio era; che senso ha volerli giudicare moralmente oggi che potrebbero risultare perfino datati e meno osceni di quanto la sensibilità dell’epoca valutasse?

Dovendo scegliere un solo titolo rappresentativo del genere, un regista e un’attrice, che nomi faresti e perché?
Corrado: Un titolo rappresentativo rimane sicuramente “la bestia in calore”, di Luigi Batzella. Proprio perché racchiude in sé quello spirito oltraggioso, naif e spiazzante che caratterizza il filone: un nazi-porno che è anche horror, con tanto di mad doctors e un mostro creato in laboratorio che anziché spaventarti ti fa schiantare dal ridere. E poi effettacci sanguinolenti a profusione, donnine desnude (tanto per cambiare), ufficiali tanto sadici quanto ridicoli, scene action maldestre… pensare che quando lo davano al cinema Esperia di Battipaglia (SA), paese dove ho trascorso la mia infanzia, la vista degli occhi porcini di Salvatore Baccaro (il “mostro”) che campeggiavano sul manifesto pubblicitario mi inquietavano pure. Oddio, m’è caduto un mito!
Riguardo il regista, direi Sergio Garrone. Il contributo che ha dato al genere con le sue due pellicole (il sopracitato SS Lager 5 e l’altrettanto famigerato Lager SSadis Kastrat Kommandatur che meriterebbe l’oscar al titolo più originale) è notevole, raramente s’è visto qualcosa di altrettanto efferato (ed esilarante, of course. Ci provavano a farli seriamente ma alla fine…)
Infine, l’attrice. E qui la scelta non può cadere che sulla giunonica Dyanne Thorne, ovvero la celebre Ilsa le cui nefandezze hanno dato il via a tutto. E’ una sorta di Vampirella nazi, deliziosamente perversa e non priva di quello spirito auto-ironico (in linea di massima voluto ma non ci metterei la mano sul fuoco) che in fondo è quel che mi garba davvero in questi piccoli gioielli trashosi e grondanti emoglobina e sudicerie.